20071219

Prefazione

Non c'é quasi niente di sorprendente nel fatto che uno scriva un libro. Oggi quasi tutti lo fanno, perfino il sottoscritto. Quello che è più inconsueto è il fatto che uno scriva un libro, lo dimentichi in un cassetto e dopo venticinque anni, ritrovandolo, lo pubblichi praticamente senza rileggerlo. E potrei aggiungere che sembra scritto ieri. O forse domani. Essendo un libro che parla di contingenze dovrebbe essere estemporaneo, e invece è metastorico. Non so dire se sia bello o brutto, interessante o noioso, però è metastorico, forse profetico, come lo è il suo autore.
Siccome è difficile definire sia questo libro che il suo autore, sarei tentato di scrivere qualcosa di presuntamente intelligente per introdurre qualcosa di presuntamente intelligente. Cosa che -- tra l'altro -- mi eviterebbe il compito di (ri)leggere il libro. Invece opto per la strada meno spettacolare: scrivere una presentazione di quanto state per leggere e scrivere anche una presentazione del suo autore. Lui mi ha assegnato il compito di scrivere la prefazione, e siccome io a tutt'oggi continuo a reputarmi un suo subalterno come fui nel 1979, obbedisco. Allora, cominciamo dal testo. L'uomo dei saldi. Un'altro buon titolo avrebbe potuto essere "Manuale delle post- Marmotte", perché riguarda quello che è successo "dopo". Il mondo che c'era prima, quando c'erano le Giovani Marmotte, non c'è più. Bisogna infatti dire che quasi tutti i viventi contemporanei, e segnatamente quelli nati alla metà del precedente secolo, hanno assistito per la prima volta nella storia ad un fatto assai singolare, noto alle cronache con il vezzeggiativo di Apocalisse. Le nostre generazioni migliori, ovvero quelle nate prima della barbarie finale, hanno vissuto questo totale cambiamento di paradigma: sono passate da un mondo in cui tutto era ancora da fare (libertà, benessere, economia, modernità) a un mondo in cui tutto è già stato fatto (sostituzione della libertà con la permissione totale, del benessere con l'opulenza narcisistica, dell'economia con la finanza, della modernità con la centuplicazione delle opzioni) e dopo avere abbondantemente fermentato volge alla putrefazione. A pensarci bene c'è di che impazzire. Cosa che, infatti, è successa a molta gente, forse a tutti. Siamo passati dalle cose alla rappresentazione delle cose, il che è esattamente come far l'amore con una bambola gonfiabile, come vedere trasformati gli oggetti dei nostri desideri in cadaveri inorganici a causa di una specie di cancro radioattivo. Ecco quindi un taccuino postnucleare. Ma guai a pensare che sia un libro di recriminazioni o rimpianti. È un libro di adattamento. È un antidoto. È un trattato spicciolo di Environmental Anthropology, forse. O forse è un libro di consapevolezza post-newage. Un manuale di sopravvivenza per cadaveri, e anche un Nuovo Galateo. E forse qua dentro ci sono già tutte le metabolizzazioni successive ai vaffanculo dei Grillo e ai barbari di Baricco, alle prospettive futurologiche di Rifkin. L'autore giura che dalla prima stesura, quella del 1982, non è cambiato niente. E lo confermo. Lo lessi all'epoca, e c'è ancora una stampata con i fogli ingialliti e le lettere di una obsoleta margherita Olivetti. Capite, allora, la profezia?
Certo, sarebbe stato meglio leggerlo allora, quando forse ancora si poteva salvare il salvabile. Ma qui vediamo che qualche margine di sopravvivenza forse è rimasto. Qualche profezia può ancora aiutare noi topi a ballare, adesso che il gatto non si vede più. E non perchè è andato via. È solo diventato enorme: è un mondo-gatto così grande che non si avverte più la sua presenza, come avviene per le pulci, che percepiscono il cane come un territorio. Così i topi ballano, o credono di ballare. Balleremo fino alla fine, ma con qualche differenza tra gli uni e gli altri. Alcuni balleranno come gli imbecilli inconsapevoli di Amused to death di Roger Waters, altri balleranno con consapevole dignità, come l'Uomo dei Saldi.
A ben pensarci non c'è molto altro da fare, e la ricetta non può essere che quella detta in queste pagine: "dimenticare le regole della nostra formazione per accettare quello che siamo divenuti, nel mondo al quale siamo giunti. C'è chi ce la fa, dimenticando i fantasmi del passato, e che è pronto a sopportare il pensiero che la nostra società stia per finire. Senza traumi, perché il discorso è il solito: una vita è lunga una vita, e alternative ad una vita in un determinato momento non ce ne sono". È cinicamente celestiale. Per il sottoscritto è roba da guru, da profeti, da eroi mitologici. Ho sempre ammirato nei film americani quei protagonisti che scopano e festeggiano la notte prima della battaglia, quelli che quando sono sotto tiro mostrano sprezzo della morte e incalzano a male parole il loro carnefice o fanno battute sarcastiche. Io in genere le notti prima delle battaglie le passo seduto sul cesso. E non imploro i carnefici solo perché ho conosciuto Frizziero e da lui ho avuto diverse lezioni di dignità. Per affrontare le cose con dignità ci vuole distacco, e il distacco cambia il nostro punto d'unione con la realtà, (a volte forse lo sottrae del tutto) e comunque genera profezie. E tra le più accorte e utili, in queste pagine, ci sono quelle sui profili della società del denaro, sull'Era delle Gabelle, come la chiama lui. Sulla colossale truffa ai danni delle formichine. Sull'inconsistenza del denaro. Perché il denaro diventa interessante, quando a parlarne è qualcuno che ne è distaccato. Il distacco dell'autore dal denaro ne fa certamente un ottimo utilizzatore. A distanza di anni, dopo averlo definito generoso, prodigo, scialaquatore, devo rimangiarmi tutto e ammettere semplicemente il suo considerare il denaro come energia congelata, tipo una pila, una batteria o un bastoncino di pesce findus. Roba da consumare preferibilmente entro. Al giorno d'oggi forse basterebbe questa cifra a fare di un uomo un essere fuori dal comune, un mostro o un principe. Essere distaccato da una cosa per cui la gente -- tutta la gente -- sbava, brama e smania, gli da già una posizione regale, come di chi può solo dispensare e non può chiedere. Occorre rimarcare che questa posizione dell'autore gli consente (forse lo obbliga ad) una eccezionale autonomia di pensiero, e all'applicazione di questa autonomia in vari campi. Semiologo, uomo di marketing, pubblicitario, compratore compulsivo, imprenditore, fotografo, nottambulo (e nettambulo), antropologo, scrittore, collezionista, censore cinico, artista, guida spirituale e behavioristica: nessuno di questi termini definisce con esattezza il soggetto, ma nel cumulo si profila un po' la figura di un'intransigente dotato di un'enorme tolleranza, pronto a perdonare qualunque -- davvero qualunque -- peccato, tranne l'avarizia. Ossimoro vivente, destabilizzante proprio perché non inquadrabile in definizioni precotte, solo chi non lo conosce lo definisce "un uomo pieno di contraddizioni". C'è chi lo definisce un ottuso di larghe vedute o un genio cocciuto. Tra tutte le definizioni ossimoriche, che sono quelle che meglio definiscono l'autore, voglio ricordare quella di Gigi Miglietta: "un perdente di successo" (o un vincente senza allori). In realtà dire che Frizziero è un razzista solidale, che è un aristocratico democratico, che è un poeta razionalista o che è un ateo religioso, per coloro che lo conoscono sono solo banalità che non fanno altro che dettagliare meglio il Tao, simbolo di armonia cosmica e di pacifico convivere degli opposti. Ma per chi non lo conosce sono frasi che dicono poco o niente. Lasciamo quindi da parte le definizioni e avventuriamoci nella lettura: si affrontano argomenti diversi, e il tutto sembra solo una collana di articoli giornalistici.Ma non lasciamoci sfuggire la cosa più interessante, la costante: il punto di vista. L'osservazione che non è quella dell'uomo della strada e neanche quella dell'upper-class. Dell'intellettuale o dell'autoemarginato meno che mai. È fuori-classe. È uno stato. Uno stato profetico e regale, dignitosamente cinico, ricco di buongusto, logica, ironia ed euristica, che vale la pena di sperimentare. Vale la pena, anche per i più idioti, di provare a seguire Frizziero nella Casa Comoda, e da lì osservare la fermentazione, scoprendo magari che qualche distillato di questa fermentazione può ancora regalarci un po' d'ebbrezza.

Marco Vimercati

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