20071217

La fine

Può darsi che la società in cui viviamo si finita. Può darsi che le forze economiche e politiche che abbiamo messo in moto siano divenute indipendenti, incontrollabili. Lo sviluppo naturale delle cose è stato inquinato da troppa teoria, ai consuntivi si sono sostituite le previsioni sulle quali abbiamo cercato di costruire un futuro migliore. È bastato che qualcosa non funzionasse – e chi poteva prevedere tutto? – che tutto andasse a rotoli. Nel peggiore dei modi, lentamente, così lentamente da far sì che il fenomeno passasse inosservato. Il male si vede ora, nella sua gravità, e tutti noi ne siamo responsabili. Chi più chi meno abbiamo tutti collaborato a rendere impossibile il recupero. Senza premeditazione alcuna, ovviamente. Si cresce, si cerca di scoprire come è giusto che un uomo viva, si imparano delle regole e, quando si è pronti finalmente ad entrare in contatto con la realtà, ci si accorge che non è questo il mondo che ci aspettavamo.
Gli schemi sono cambiati e occorre di nuovo ricominciare da capo e da capo un’altra volta quando la situazione si ripete. Poi, un giorno, ci si prende l’abitudine e si rinuncia a continuare, anche se farlo è l’unica possibilità che ci rimane di capire, di avvicinarci al ritmo con cui le cose si muovono intorno a noi. Avvicinarsi per capire, rifiutare le verità del passato – vere solo nel passato –, dimenticare le regole della nostra formazione per accettare quello che siamo divenuti, nel mondo al quale siamo giunti. C’è chi ce la fa, dimenticando i fantasmi del passato, e che è pronto a sopportare il pensiero che la nostra società stia per finire. Senza traumi, perché il discorso è il solito: una vita è lunga una vita, e alternative ad una vita in un determinato momento non ce ne sono. Non ci sono nemmeno rimedi, tantomeno gratuiti e garantiti, possono esserci solo rinunce e sacrifici per chi desiderava e per chi possedeva. Per gli altri, una vita ne vale un’altra e questo risolve l’intero problema.

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