20071217

Nessuno fumi al cinema

Chi lavora deve pagare le tasse, cioè chi lavora guadagna e di conseguenza deve pagare le tasse. Poi c’è altra gente che non lavora ma guadagna e di conseguenza paga le tasse. Spero che ciò avvenga e torno ad occuparmi dei primi, quelli che producono.
Da un po’ di tempo, per una parte di loro, quelli che svolgono un’attività individuale, artigiani o professionisti che siano, si sta verificando una situazione nuova. Il Fisco ha imposto delle leggi ben precise, ha studiato strategie di controllo basate su verifiche molteplici, tutte incrociate tra di loro, ha introdotto pene severe per chi infrange le regole. Le varianti sono infinite e ogni giorno viene aggiunto qualcosa di nuovo, con la conseguenza che persino un fiscalista si trova spesso in imbarazzo. Ma poi si riprende velocemente, in fin dei conti si tratta del suo lavoro ed è inevitabile che ci sia l’obbligo di un aggiornamento costante, così come avviene in altri lavori, quando entrano in ballo nuove tecnologie, per esempio. Anche una azienda ha lo stesso problema: l’ufficio contabile deve adottare con immediatezza le nuove regole, nuove abitudini devono formarsi per sostituire le precedenti, con attenzione estrema perché le pene per quelli che sbagliano diventano sempre più severe.
Un’azienda che produce ha sempre chi si occupa di questi problemi, essere aggiornato fa parte dei suoi compiti. Ma un artigiano e un professionista come se la cavano? Diventa difficile per loro svolgere un’attività mista o addirittura due attività. Ma lo Stato provvede e introduce, per moderati giri d’affari, delle regole che semplificano contabilità e tassazione. Questo è solo un piccolo esempio di come a monte ci sia la volontà di separarci in piccoli gruppi omogenei per imporre leggi adatte alle singole situazioni. A valle rimane sempre la sensazione di essere abbandonati, di essere usati, di essere bastonati senza colpa. In momenti di crisi questa sensazione si acuisce, abbiamo la certezza che la nostra onestà e la nostra disponibilità possano contribuire al bene comune ma, come al solito, rifiutiamo il sacrificio. Abbiamo infatti la consapevolezza che pochi avrebbero questo coraggio. E allora per comodo, per vigliaccheria, per disonestà, cercando tutte le giustificazioni possibili, ci comportiamo come coloro che un attimo prima abbiamo criticato, ci ritiriamo dal nostro impegno civile. Impegno civile, una parola grossa. E anche qui ci areniamo, senza cercare di scoprire cosa c’è sotto una parola grossa, quale è il suo contenuto in termini pratici. Ignoriamo cioè così il significato di partecipazione, di comunione con i problemi degli altri, che poi sono anche i nostri, che vengono affrontati in piccola parte anche dagli altri. Questo agire collettivo avrebbe bisogno di spontaneità, dovrebbe divenire tendenza di molti, passare come fenomeno di moda per potersi affermare e divenire regola comune di comportamento.
Un po’ come quando si va al cinema, dove nessuno fuma, perché non si può fumare, e tutti si adattano con facilità perché nessuno si sottrae alla regola e perché nessuno ha privilegi. Al cinema è facile assicurarsi che la legge sia uguale per tutti e dato che la verifica ci convince partecipiamo positivamente. In altre situazioni, dove la verifica è impossibile, preferiamo far sorgere il dubbio che le cose non siano poi tanto uguali per tutti, e cerchiamo di trasformare il dubbio in certezza per approfittarne. Non è sicuramente vero che le cose vadano benissimo ma non possiamo essere i primi a trarre vantaggio da una situazione negativa, sfruttandola ai nostri fini.
Se c’è una crisi, abbiamo detto, le cose peggiorano, abbiamo sempre di più la convinzione che qualcuno ci sguazzi con grosso tornaconto, che non ci siano solo degli inetti a governarci ma che pochi cospirino ai danni di poveracci come noi completamente inermi. Non c’è nessuno che sgombri il campo da questi luoghi comuni. Non bastano nemmeno opinioni di grossi personaggi, di uomini che contano.
Fernand Braudel, storico di fama, dice che: "..i governi, imprudentemente, senza accorgersene, si rendono responsabili degli anni ingloriosi che viviamo ogni volta che si dicono capaci di controllare la disoccupazione, l’inflazione, il deficit di bilancio, mentre in realtà questi mostri si fanno beffe di noi ed anche di loro. Siamo impotenti, abbiamo a che fare con situazioni incontrollabili al punto che - continua Braudel - se io fossi al posto di certi politici italiani che conosco e che stimo, direi chiaro e tondo che nessun governo è responsabile della crisi più di quanto ciascuno di noi lo sia per le depressioni cicloniche che si susseguono nel Mediterraneo d’inverno. Esortarci alla pazienza, dirci che non ci sono rimedi miracolosi, che bisogna aspettare, inarcare la schiena, fare buon viso al cattivo tempo. Quando la marea monta, ogni paese ha la sua parte di guai. Con il riflusso ecco il pigia pigia, i forti si riparano dietro i deboli, se ne servono, li spingono con garbo verso acque pericolose."
Se questo pensare è corretto non basta condividerne i contenuti. Bisogna “partecipare”, e partecipare significa anche aspettare, inarcare la schiena, far buon viso a cattiva sorte,
fare dei sacrifici. Il singolo non accetterà mai di fare propria questa linea d’azione, è troppo faticosa, la rifiuterà e il mezzo più semplice per negarla è rifiutarne i presupposti e trovare dei capri espiatori per quanto ci piove addosso. Chi paga le tasse ne pagherà meno del dovuto, chi lavora cercherà di fare il meno possibile, tutte le regole ci sembreranno delle dure vessazioni e cercheremo di aggirarle e diventeremo sempre più esperti e non ci porremo più il problema se quello che facciano sia corretto o meno perché, tanto, lo fanno tutti.

Indice

Nessun commento: