20071217

L'uomo senza fantasia

Un trattato sull’avaro non lo ha mai scritto nessuno. Molière e Goldoni hanno lavorato sul tema, Gilberto Govi ha divertito tutta Italia con le sue interpretazioni dell’avarissimo Giobatta Parodi, l’Uncle Scroogie di Dickens ha fornito a Disney il nome per il taccagno più famoso del mondo, Paperon de’ Paperoni. Paul Getty, suo fratello di sangue, non ha scucito un dollaro nemmeno davanti all’orecchio reciso del nipote rapito. Alberto Sordi è citato spesso come campione italiano di questo sport, catalogato tra i vizi capitali. L’avaro non è molto amato. Di solito perché ha di più di tutti quelli che lo circondano, gente che spesso lo invidia (uno a uno in quanto a peccati della stessa famiglia!) e vorrebbe possedere almeno quanto lui. In queste situazioni non c’è né posto né tempo per l’amore. Ma anche quei pochi disponibili, sia per abitudine che per temperamento, a voler bene al prossimo, se possono amano qualcun altro. L’avaro li allontana da sè, per essere amato sarebbe costretto, in una maniera o nell’altra, a ricambiare e questo lo terrorizza. Ci mancherebbe davvero anche questo, con tutti i problemi che ha.
L’avaro è un uomo che soffre. Non c’è un
attimo di tranquillità, in qualsiasi momento tutto quello che ha accumulato, tutte le sue sicurezze, potrebbe essere messo in pericolo. La svalutazione, che minaccia il suo denaro, lo obbliga ad immobilizzarlo. Aumenti rapidissimi di valore, anziché renderlo felice, lo preoccupano perché lo smobilizzo del bene si fa ovviamente più difficile e, se anche si effettua, subentra il problema di un nuovo immobilizzo. Si fa esperto di alchimie finanziarie e ogni giorno si rafforza la convinzione che la sua strada è quella giusta. Tutto quello che toglie di giorno in giorno alla famiglia, sa che le verrà restituito, quando Dio vorrà, centuplicato, e tutto questo funzionerebbe, secondo logica (?), se non fosse che un personaggio così ha solitamente una vita media di 150 anni e i suoi programmi di rimborso non funzionano più, per lo meno a favore di chi ne avrebbe diritto.
L’avaro soffre. La gente non lo capisce, lo confonde con un ladro, lo addita come un lebbroso. Ma la gente, si sa, sbaglia. L’avaro è un uomo onesto, lavoratore, previdente, si può dire che abbia un sacco di pregi ormai difficili da rintracciarsi. Certo, non sa cosa vuol dire bere un gran vino, che sensazione dia sulle labbra un bicchiere di cristallo, come sia fatto un vagone ristorante e come ci si comporti in un grande albergo. I taxi e la prima classe gli sono sconosciuti, il film lo vede a casa, alla televisione, le variazioni della moda lo toccano marginalmente e la sua auto è un peccato venderla perché ha il motore praticamente nuovo.
Un
uomo così non è certamente un ladro, anche se possiede più degli altri. È semplicemente un uomo che consuma poco, il minimo indispensabile, un uomo che ama il denaro, che preferisce accumularlo anziché dedicarsi allo sperpero. Ma cosa ha quest’ultimo – o meglio cosa non ha quest’uomo –, in che cosa si differenzia dagli altri? Lo sappiamo benissimo. La fantasia. Non ne ha, nemmeno un briciolo, né da vendere, né da acquistare. L’uomo normale, il non avaro, vive di fantasia, acquista fantasie. Forse è solo questa la differenza. Lo sanno bene i venditori che spesso non fanno altro che assecondare le fantasie dei loro clienti. Si trovano di fronte a gente preparata a spendere, bastano pochi elementi oggettivi sui quali trattare l’acquisto e se le associazioni sono positive, se i vantaggi d’ordine psicologico sono evidenti, se la conclusione dell’affare è gratificante, ebbene, la cosa si conclude. Una casa, un’automobile, una vacanza, un oggetto di pregio di solito si acquistano e si vendono così. Di solito. Non certo ad un avaro che solitamente acquista case o cose per quello che sono, per la loro funzionalità, non certo per quello che potrebbero essere o potrebbero dare. È così che, solo perché l’avaro difetta di fantasia, lo si deride, lo si emargina, lo si accusa di colpe tremende solo perché non sente la seduzione del superfluo.

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