20071217
Il futuro assicurato
Ci sono situazioni che ormai ci lascerebbero impotenti, incapaci di reagire. Ci obbligherebbero a fare lavorare in fretta il cervello per trovare soluzioni immediate. La sopravvivenzaavrebbe priorità. Mangiare, un fatto che l’uomo nonha mai potuto sottovalutare, divenuto nelle società industrializzateuna normale formalità, diventerebbe imperativod’obbligo in situazioni ben diverse da quella attuale, duranteuna guerra, per esempio. Una guerra impossibile, insospettabile, imprevedibile, non tanto nella realtà, quanto nella testa degli individui che ne rimuovono costantemente lo spettro. La possibilità di un tale evento ci costringerebbe a modificare abitudini, a prendere in esame nuovi schemi dicomportamento, a pensare più al futuro che al presente. Il presente assorbe infatti gran parte delle energie della nostra gente. Il domani verrà e difficilmente lo potremo modificare e l’unica alternativa d’oggi all’edonismo è l’ignavia.
Il risparmio, per esempio, che fine ha fatto? Dove sono finiti tutti quei soldini che ogni famiglia previdente sapeva di dover mettere da parte ogni mese, ogni anno, per ogni evenienza, per superare momenti difficili, per avvicinarsi al capitale necessario, sufficiente garanzia per una vita tranquilla? Sono cambiate le cose. Si è deciso all’unanimità che il problema non esiste più, che non c’è più necessità di risparmiare, che non ci si deve più preoccupare per il futuro perché il futuro è assicurato.
Abbasso le formiche, viva le cicale! Cosa succede quando la cicala comincia ad avere degli scrupoli? C’è rimedio a tutto. Basta che uno investa – lapalissiano – il denaro che ancora non ha. Dopo un certo numero di anni si troverà con una piccola cifra, versata con pazienza e costanza, ricco in valuta attualizzata. In ogni caso si tratta di risparmio, anche se forzato. Un risparmio nato più dalla credibilità delle banche e degli imprenditori finanziari che da un modello tradizionale di previdenza. Il meccanismo – si chiami fondo di investimento o con qualsiasi altro nome – è attuale, nuovo, accontenta chi è propenso ad accettarlo: niente più code agli sportelli delle banche, niente più libretti al portatore, niente più buoni postali. Aderire ad una proposta nuova dà sufficienti gratificazioni, ci dà la misura della nostra evoluzione. Sarà senz’altro avvenuto altre volte in passato, ma ora la situazione sta superando il livello di guardia. Il desiderio di possedere si sta radicando sempre di più. C’è chi possiede e chi non possiede nulla. Chi possiede cerca di incrementare il posseduto, cosa abbastanza facile per chi conosce le regole, che poi non sono tante. Chi non possiede ed è animato da un terribile desiderio di cambiare condizione prima o poi ce la farà. Qui non ci sono regole, l’improvvisazione regna incontrastata, l’unica necessità non perdere mai tempo, cogliere al volo le occasioni, di qualsiasi natura siano, purché vantaggiose. Alla fine quello più bravo, quello più fortunato, possiederà di più, ma anche gli altri la loro fettina di beni se la saranno costruita.
Superata la fase iniziale comincia qualche piccola regola: vendere tutto se l’offerta è superiore al valore reale, non legarsi affettivamente a ciò che si possiede, non valutare i vantaggi soggettivi di una situazione. Vendere è l’imperativo d’obbligo se c’è qualcos’altro da acquistare vantaggiosamente. E poi continuare sulla stessa strada. Durante questi passaggi non è necessari divenire, di volta in volta, un professionista. Se si acquista un bar, un ristorante, un albergo, è sufficiente rimanere quello che si era, con le stesse carenze, gli stessi difetti, con gli stessi comportamenti, tanto, il giorno dopo, si rivende tutto al miglior offerente. Sarebbe tempo sprecato documentarsi, imparare, evolversi, quando la via scelta porta ad altre soluzioni, ad altri mestieri. Il possesso continua a rimanere un fine, per costoro, non un mezzo e il risultato è facilmente prevedibile: chi comincia a possedere, possiederà sempre di più. Questo meccanismo è assimilabile ad un vizio, irrimediabile come tutti i vizi. Quest’uomo in qualche recesso del suo cervello intuisce prima o poi che, prima o poi, dovrà andarsene da questo mondo. Nello stesso istante, se la natura non ha già provveduto da sola, si preoccuperà di mettere al mondo due o tre discendenti che possano continuare la sua opera, proseguendo nell’accumulo. Sarà loro facile avendo un cotal padre per modello. Arricchiranno, col greve fardello di tutte le carenze che avranno ereditato durante la loro crescita. Educazione, cultura, comportamento subiranno grosse limitazioni, ma il guaio, quello grosso, lo subiremo noi, tutti quelli che, per decisione chiara, per impostazione familiare, per l’insegnamento ricevuto, hanno scelto una via diversa. Una via diversa per noi e per i nostri figli, per tutti coloro che avranno ache fare con questa nuova generazione del possesso e che saranno costretti a subirne, ora l’ignoranza, ora l’arroganza, come minimo l’impreparazione. Quotidianamente.
I politici hanno esaminato il fenomeno delle classi emergenti, hanno cercato di studiarne i progressi, le tendenze, i comportamenti statistici, li hanno divisi in gruppi e sottogruppi perché sia più facile identificarli e lottizzarli. Non si sono certo preoccupati di analizzare i grafici di mutazione degli schemi, non si sono accorti che esponenziale ed esplosivo hanno la stessa radice e che c’è anche la possibilità che questo continuo tentativo di emergere non faccia altro c imporre degli schemi di una lotta senza quartiere per impor-re soluzioni vantaggiose di tipo individuale che con il bene della società nulla hanno a che vedere. Quasi un paradosso: il singolo migliora (?) e la società si degrada. E tutti dicono che non succede mai niente.
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Il risparmio, per esempio, che fine ha fatto? Dove sono finiti tutti quei soldini che ogni famiglia previdente sapeva di dover mettere da parte ogni mese, ogni anno, per ogni evenienza, per superare momenti difficili, per avvicinarsi al capitale necessario, sufficiente garanzia per una vita tranquilla? Sono cambiate le cose. Si è deciso all’unanimità che il problema non esiste più, che non c’è più necessità di risparmiare, che non ci si deve più preoccupare per il futuro perché il futuro è assicurato.
Abbasso le formiche, viva le cicale! Cosa succede quando la cicala comincia ad avere degli scrupoli? C’è rimedio a tutto. Basta che uno investa – lapalissiano – il denaro che ancora non ha. Dopo un certo numero di anni si troverà con una piccola cifra, versata con pazienza e costanza, ricco in valuta attualizzata. In ogni caso si tratta di risparmio, anche se forzato. Un risparmio nato più dalla credibilità delle banche e degli imprenditori finanziari che da un modello tradizionale di previdenza. Il meccanismo – si chiami fondo di investimento o con qualsiasi altro nome – è attuale, nuovo, accontenta chi è propenso ad accettarlo: niente più code agli sportelli delle banche, niente più libretti al portatore, niente più buoni postali. Aderire ad una proposta nuova dà sufficienti gratificazioni, ci dà la misura della nostra evoluzione. Sarà senz’altro avvenuto altre volte in passato, ma ora la situazione sta superando il livello di guardia. Il desiderio di possedere si sta radicando sempre di più. C’è chi possiede e chi non possiede nulla. Chi possiede cerca di incrementare il posseduto, cosa abbastanza facile per chi conosce le regole, che poi non sono tante. Chi non possiede ed è animato da un terribile desiderio di cambiare condizione prima o poi ce la farà. Qui non ci sono regole, l’improvvisazione regna incontrastata, l’unica necessità non perdere mai tempo, cogliere al volo le occasioni, di qualsiasi natura siano, purché vantaggiose. Alla fine quello più bravo, quello più fortunato, possiederà di più, ma anche gli altri la loro fettina di beni se la saranno costruita.
Superata la fase iniziale comincia qualche piccola regola: vendere tutto se l’offerta è superiore al valore reale, non legarsi affettivamente a ciò che si possiede, non valutare i vantaggi soggettivi di una situazione. Vendere è l’imperativo d’obbligo se c’è qualcos’altro da acquistare vantaggiosamente. E poi continuare sulla stessa strada. Durante questi passaggi non è necessari divenire, di volta in volta, un professionista. Se si acquista un bar, un ristorante, un albergo, è sufficiente rimanere quello che si era, con le stesse carenze, gli stessi difetti, con gli stessi comportamenti, tanto, il giorno dopo, si rivende tutto al miglior offerente. Sarebbe tempo sprecato documentarsi, imparare, evolversi, quando la via scelta porta ad altre soluzioni, ad altri mestieri. Il possesso continua a rimanere un fine, per costoro, non un mezzo e il risultato è facilmente prevedibile: chi comincia a possedere, possiederà sempre di più. Questo meccanismo è assimilabile ad un vizio, irrimediabile come tutti i vizi. Quest’uomo in qualche recesso del suo cervello intuisce prima o poi che, prima o poi, dovrà andarsene da questo mondo. Nello stesso istante, se la natura non ha già provveduto da sola, si preoccuperà di mettere al mondo due o tre discendenti che possano continuare la sua opera, proseguendo nell’accumulo. Sarà loro facile avendo un cotal padre per modello. Arricchiranno, col greve fardello di tutte le carenze che avranno ereditato durante la loro crescita. Educazione, cultura, comportamento subiranno grosse limitazioni, ma il guaio, quello grosso, lo subiremo noi, tutti quelli che, per decisione chiara, per impostazione familiare, per l’insegnamento ricevuto, hanno scelto una via diversa. Una via diversa per noi e per i nostri figli, per tutti coloro che avranno ache fare con questa nuova generazione del possesso e che saranno costretti a subirne, ora l’ignoranza, ora l’arroganza, come minimo l’impreparazione. Quotidianamente.
I politici hanno esaminato il fenomeno delle classi emergenti, hanno cercato di studiarne i progressi, le tendenze, i comportamenti statistici, li hanno divisi in gruppi e sottogruppi perché sia più facile identificarli e lottizzarli. Non si sono certo preoccupati di analizzare i grafici di mutazione degli schemi, non si sono accorti che esponenziale ed esplosivo hanno la stessa radice e che c’è anche la possibilità che questo continuo tentativo di emergere non faccia altro c imporre degli schemi di una lotta senza quartiere per impor-re soluzioni vantaggiose di tipo individuale che con il bene della società nulla hanno a che vedere. Quasi un paradosso: il singolo migliora (?) e la società si degrada. E tutti dicono che non succede mai niente.
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