20071217

L'uomo che vive solo

Chiamiamolo scapolo, se volete, ma è un termine antiquato ed impreciso. Non è nemmeno un uomo solo, anche se in verità è solo, perchè questo termine porterebbe a compiangerlo. Può essere giovane, uno studente che vive lontano dalla famiglia, meno giovane, un divorziato per esempio, anziano, vedovo o pensionato. Di certo c’è che vive da solo, senza una donna voglio dire, e che ha dovuto inventare nuove regole per sopravvivere. Ha dovuto imparare a muoversi e a comportarsi in mezzo agli altri senza perdere l’identità, rimanendo uomo anche con un paio di sacchetti del supermercato in mano. E anche in questa situazione nuova – l’uomo della Marlboro non ha infatti i sacchetti del supermercato ad intraciargli i movimenti – non deve perdere in dignità, non deve assomigliare alla vicina della porta accanto. Ha dovuto imparare le regole del gioco, un grosso rifornimento settimanale di cibo, da scegliere con calma, guardando i prezzi, non cedendo alle trappole degli acquisti di impulso. Ha scoperto che qualche piccola gratificazione, poche cose superflue di grossa marca, hanno un grosso effetto sulle cassiere, ne attirano la simpatia, allontanano gli sguardi di tenerezza e comprensione. In questa variante agli schemi tradizionali d’acquisto, una scatoletta di caviale o una bottiglia di champagne, c’è un pieno recupero della propria condizione di uomo. Ha imparato a prepararsi il pranzo e ha scoperto che in cucina non ci sono tutti i misteri che le donne hanno sempre lasciato intuire e che il cibo si cuoce da solo. Qualche volta, nel momento meno opportuno, scopre che in casa non c’è un grammo di sale o che il detersivo per lavare i piatti, lasciato su un panno umido, è diventato un blocco inutilizzabile. Non se ne dispera e fa tesoro di questa nuova esperienza. Quando invita delle gente si preoccupa molto che tutto sia in ordine, cerca di fare bella figura, di nascondere tutte le difficoltà che la vita quotidianamente gli riserva.
Il suo ruolo è nuovo – l’uomo che vive solo non è mai esistito in passato oppure, se è esistito, è successo per necessità e non per scelta – e non ci sono regole collaudate da seguire. Si tratta di inventarle, ovviamente con grossa fatica. In ogni caso è solo questione di tempo e tutti, prima o poi, le imparano. Superato il tirocinio e le prove della sfera privata scatta il meccanismo dei rapporti sociali, da sempre più facili per la coppia. Verso la coppia non c’è sospetto, è un anello che si chiude. Il singolo invece non ha ancora una sua collocazione precisa, è troppo libero per comunicare tranquillità, merita maggiori attenzioni e genera un atteggiamento cauto. D’altra parte deve dimostrare estrema sicurezza, deve apparire soddisfatto della propria condizione e si procura in questo modo qualche piccola invidia. Tutto questo fa aumentare la cautela degli altri.
E allora a questo punto cominciano le fatiche vere e proprie per farsi accettare, per fare dimenticare la differenza di condizione. Se vuole continuare i suoi rapporti con gli altri deve diventare disponibile, interessante, deve apparire saggio, deve insomma convincere che la sua situazione gli sta dando dei benefici. Deve soprattutto allontanare da sé la lauta dose di commiserazione che altrimenti riscuoterebbe automaticamente. E dato che la fatica di recitare costantemente questa parte lo sposserebbe, se vuole stare con gli altri li sceglie uguali a sé, uomini o donne che siano. Il dialogo diventa così più facile, le parole corrispondono sempre più al pensiero; situazioni ed emozioni, anche in virtù di un linguaggio perfettamente comprensibile, si trasferiscono con estrema rapidità. È il solito discorso dell’efficienza del gruppo omogeneo che può ancora permettersi un preciso territorio di cultura, parole, azione. Il piccolo gruppo assomiglia molto all’uomo che vive solo: negli altri suscita diffidenza e cautela perché troppo evidente è la sua indisponibilità a comunicare o a scegliere schemi di comunicazione diversi da quelli ormai consueti, gli stessi che edificano la barriera con gli altri.
Il Piccolo Gruppo Omogeneo, d’altra parte, è un anello, come la coppia, ma ha troppe varianti per comunicare tranquillità agli altri. Le parole talvolta diventano incomprensibili, perché usate al di fuori del loro significato usuale; il linguaggio diventa così un gergo per iniziati e l’escluso non capisce. D’altra parte il piccolo gruppo, anche se isolato, può lavorare con tranquillità, costruirsi delle regole di comportamento, seguirle con facilità con la certezza che il meccanismo funzioni. Se l’idea è corretta è poi facile ampliare graduatamente i propri progetti. Le regole del passato non funzionano più perché tutte le nostre istituzioni e le nostre leggi sono state concepite per piccoli gruppi di persone che vivevano in piccoli centri non sovraffollati, in piccoli gruppi, diciamo. Ci vogliono dunque regole nuove o qualcuno che riesca a vedere alternative dove gli altri sono ciechi.
Chi vive solo ha grandi possibilità in questa direzione: con la sua posizione ha già modificato la tradizione inventando una condizione nuova, ha già fatto il primo passo di un cammino diverso. Chi vive solo dispone di tempo, dialoga con elevato rendimento con i suoi simili, non è distrattodai mille problemi della famiglia e può continuamente, in piena libertà, elaborare il materiale in suo possesso e fare continue verifiche. C’è bisogno di soluzioni nuove per debellare quella netta sensazione di precarietà che c’è nell’aria. Soluzioni per l’economia, difficili da intuire, tranquillizzerebbero senz’altro un mucchio di gente. C’è però un altro mucchio di gente che ha bisogno di cose più importanti, che ha bisogno di sapere cosa fare, come fare crescere i figli, cosa insegnare loro, gente che vive nella speranza che un giorno le cose si metteranno meglio che adesso. L’uomo che vive solo, che parla, che verifica, che elabora, che comunica, è l’uomo che lavora più degli altri perché questa speranza si avveri, perché lui, più degli altri, vive, e non solo sente, tutta l’incertezza della nostra epoca.

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