20071217
L'arte e i suoi escrementi
Vent’anni fa si discuteva parecchio d’Arte. Ci si metteva d’accordo, prima o poi, che due erano le fasi da analizzare: quella del durante e quella del dopo.
L’Arte (e non si parlava di artigianato sublime) esisteva nella fase di elaborazione, negli stimoli e nelle varianti di esecuzione. Dopo, alla fine, c’era solo il prodotto dell’Arte, il quadro, la scultura, la poesia. Esattamente come succede al grande cuoco che affida al forno la sua creazione: alla fine ne esce una pietanza che conserva solo le tracce dell’abilità che l’ha prodotta, ma che non è essa stessa l’abilità. Il quadro non è il cibo che si gusta ma solo l’escremento di un lungo processo digestivo e, se il paragone può continuare senza offese per alcuno, chi si aggira per le mostre con occhio attento altro non è se non un coprofilo. Se di escrementi non si trattasse, non si capirebbe la facilità con cui un autore si libera, anche se dietro compensi, talvolta elevati, dei suoi prodotti. L’autore ne riconosce la vera essenza, sa di avere contribuito alla loro esecuzione, ma sa anche che tutte le sensazioni e le emozioni del momento della creazione sono sue e a lui rimangono. Sono fette di esperienza che lo aiutano nella realizzazione dei suoi prodotti successivi. Sono elementi personali che a lui rimangono, che non vengono ceduti all’atto della vendita.
Che senso ha discutere il valore di un artista se si esaminano solo i suoi prodotti? Che senso può avere trasformare processi di natura quasi esclusivamente commerciale in discorsi impegnati, intrisi di politica, luoghi comuni senza probabilità di affermazione duratura?
Si parla spesso che l’arte sia destinata ai ricchi. I quadri forse sì, le sculture anche, la letteratura un po’ meno. Esattamente come i mobili belli, le auto di grossa cilindrata, le case nei quartieri eleganti, tutte cose che con il denaro si possono acquistare. L’Arte è nella testa degli artisti, nel loro cuore, nella loro anima. Non è cedibile, non è acquistabile. Solo delle sensazioni di seconda mano, delle emozioni mediate dalla tecnica vengono trasmesse. E chi le riceve le fa proprie, le confronta con altre già codificate, le analizza sulla base di esperienze passate e con estrema presunzione crede di aver capito tutto, di poter possedere lo spirito dell’autore.
Una vita è lunga ed è difficile anche per l’artista vivere continuamente momenti magici. L’Arte che è in lui, che lo fa muovere, lottare, lavorare, ogni tanto se ne va in vacanza. L’artista, ridivenuto comune mortale, dovrebbe perdere la sua qualifica per riconquistarla successivamente al primo momento di grazia. E invece no, difficilmente rinuncia a plagiare se stesso, a riprodurre schemi ed opere dei suoi periodi felici. Il pubblico, che lo conosce solo attraverso la sua produzione, continua ad accettarlo e ad acclamarlo.
Indice
L’Arte (e non si parlava di artigianato sublime) esisteva nella fase di elaborazione, negli stimoli e nelle varianti di esecuzione. Dopo, alla fine, c’era solo il prodotto dell’Arte, il quadro, la scultura, la poesia. Esattamente come succede al grande cuoco che affida al forno la sua creazione: alla fine ne esce una pietanza che conserva solo le tracce dell’abilità che l’ha prodotta, ma che non è essa stessa l’abilità. Il quadro non è il cibo che si gusta ma solo l’escremento di un lungo processo digestivo e, se il paragone può continuare senza offese per alcuno, chi si aggira per le mostre con occhio attento altro non è se non un coprofilo. Se di escrementi non si trattasse, non si capirebbe la facilità con cui un autore si libera, anche se dietro compensi, talvolta elevati, dei suoi prodotti. L’autore ne riconosce la vera essenza, sa di avere contribuito alla loro esecuzione, ma sa anche che tutte le sensazioni e le emozioni del momento della creazione sono sue e a lui rimangono. Sono fette di esperienza che lo aiutano nella realizzazione dei suoi prodotti successivi. Sono elementi personali che a lui rimangono, che non vengono ceduti all’atto della vendita.
Che senso ha discutere il valore di un artista se si esaminano solo i suoi prodotti? Che senso può avere trasformare processi di natura quasi esclusivamente commerciale in discorsi impegnati, intrisi di politica, luoghi comuni senza probabilità di affermazione duratura?
Si parla spesso che l’arte sia destinata ai ricchi. I quadri forse sì, le sculture anche, la letteratura un po’ meno. Esattamente come i mobili belli, le auto di grossa cilindrata, le case nei quartieri eleganti, tutte cose che con il denaro si possono acquistare. L’Arte è nella testa degli artisti, nel loro cuore, nella loro anima. Non è cedibile, non è acquistabile. Solo delle sensazioni di seconda mano, delle emozioni mediate dalla tecnica vengono trasmesse. E chi le riceve le fa proprie, le confronta con altre già codificate, le analizza sulla base di esperienze passate e con estrema presunzione crede di aver capito tutto, di poter possedere lo spirito dell’autore.
Una vita è lunga ed è difficile anche per l’artista vivere continuamente momenti magici. L’Arte che è in lui, che lo fa muovere, lottare, lavorare, ogni tanto se ne va in vacanza. L’artista, ridivenuto comune mortale, dovrebbe perdere la sua qualifica per riconquistarla successivamente al primo momento di grazia. E invece no, difficilmente rinuncia a plagiare se stesso, a riprodurre schemi ed opere dei suoi periodi felici. Il pubblico, che lo conosce solo attraverso la sua produzione, continua ad accettarlo e ad acclamarlo.
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