20071217

L'arte dello spettacolo

Una ventina d’anni fa andava di moda andar per mostre. C’era nell’aria la certezza che qualcosa di grosso stava succedendo anche se non si capiva bene cosa fosse. I canoni tradizionalivenivano calpestati, tecniche collaudate per secoli venivano abbandonate a favore di altre il più delle volte dettate dalla necessità di far presto, di accelerare il risultato. Uno tagliava le tele, un altro impacchettava i monumenti, un altro ancora si limitava a guardare il poliuretano espandersi
in forme imprevedibili, estranee alla cultura precedente. In America altri proseguivano per strade diverse, anche se per certi versi altrettanto dissacranti: i fumetti giganti, le scatole di zuppa, le bandiere, i manichini, tutti i prodotti della Pop Art nascevano con l’intenzione di rompere con il passato. E dappertutto libri e mostre spiegavano i perché, dicevano chi era più bravo, mostravano i prodotti più richiesti ad un pubblico del tutto impreparato ad opporsi o ad applaudire, disposto solo a cercare di capire. Certo che il tumulto e la confusione non si erano generati da soli, la situazione era matura perché qualcosa accadesse. L’unico guaio fu che quei pochi che avevano le idee chiare su cosa stava succedendo all’arte e quale strada essa stava per imboccare, anziché scrivere dei libri o fare delle conferenze illuminanti sull’argomento si misero, tutti, a fare quadri o sculture. Il disastro fu inevitabile. Fu infatti facilissimo per migliaia di scoppiati mettersi a fare gli artisti, tutti alla ricerca di qualcosa che sbalordisse ma che contemporaneamente fosse di facile realizzazione. Se ne videro di tutti i colori, il caos più indicibile. Il pubblico, ancora impreparato, rimase a guardare, nella speranza, prima o poi, di capirci qualcosa.
È passato molto tempo da allora e col tempo molte mode si sono trasformate, il culto della musica, la passione per le filosofie orientali, la curiosità per nuove religioni. Adesso c’è Epoca dello Spettacolo. Si è innescato un meccanismo che ci ricorda quello che vent’anni fa sconvolse il
mondo delle arti visive. Gli schemi sono gli stessi. Qualcuno ha inventato qualcosa di nuovo ed in migliaia l’hanno seguito. Far spettacolo è una qualificazione, permette di salire verso l’Arte Totale, significa coinvolgere il pubblico, ottenerne l’applauso, il segno palese dell’approvazione che laurea il teatrante. Il guitto, per proporsi come attore e per nascondere la propria condizione reale, deve seguire canoni nuovi, deve inventare, deve sbalordire affinché il pubblico non capisca, si trovi a disagio. L’unica strada che il Nuovo Attore può percorrere senza mettere piede in fallo è quella della novità, anche se nemmeno lui, il più delle volte, ha le idee chiare.
E il pubblico? Il pubblico subisce naturalmente.
D’altra parte è inevitabile che ciò succeda: tra attori e platea c’è un abisso, i ruoli sono distinti, uno recita e l’altro paga e se pagando non capisce, nello stesso momento fa atto di sottomissione, senza divertirsi e senza protestare troppo, anche se qualche piccolo sospetto lentamente prende forma e nascono i primi dubbi sulla qualità dello spettacolo d’arte nuova. Spesso si tratta di artigianato, talvolta di buon artigianato,
preso a prestito da forme di spettacolo popolari. In questi casi andrebbe riconosciuto come tale, dovrebbe essere valutato su basi corrette, riconoscendo le matrici di ciò che si osserva. Gli applausi potrebbero anche esserci, al punto giusto, per le cose giuste, purché ci sia anche la critica, non solo come diritto ma anche come dovere.

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