20071217

Il diritto alla critica

Te ne vai una sera a teatro, hai il tuo posto, il tuo numero èsegnato sul biglietto: una specie di lotteria. Già, perché chi hai davanti può essere alto o basso, immobile o preso dal ballo di San Vito, attento o rumoroso. Ebbene, ci sono giorni in cui sei sfortunato e ti trovi a dover contrastare, anticipare, seguire tutta una serie di movimenti che sembrano fatti apposta per provocarti. Ti rassegni e fai tutto il possibile per seguire il balletto che eri andato a vedere, anche se le condizioni in cui sei non sono le migliori. Ci provi, ogni tanto ci riesci, ogni tanto ti distrai, dai la colpa al signore davanti, ai responsabili della disposizione dei posti che non hanno provveduto, di fila in fila, ad alternarli. Poi, improvvisamente, ti dimentichi di tutte le seccature, del treno che passa dietro il palco assorbendo interamente la musica, degli aerei che con le loro lucine verdi e rosse, ammiccano dal cielo ormai scuro, e ti concentri sullo spettacolo. È solo allora che ti accorgi che, pur con musica di Prokovief, col corpo di ballo del Bolchoï, con un grande direttore d’orchestra, ti stai annoiando mortalmente. C’è sicuramente qualcosa che non va. Qualche balletto l’hai visto, musica ne senti sin da ragazzino, una discreta preparazione estetica la possiedi, malgrado tutto questo la noia ti pervade. Il racconto, Romeo e Giulietta, è ovviamente comprensibile, ma il tempo tarda a trascorrere. L’anima manca. La bravura del singolo è limitata dai fili che lo muovono, il burattinaio ha impostato male la sua coreografia. E, alla fine del primo atto, lo dici anche a quello che ti sta davanti. Ti guarda stupito ed è convinto che tu esprima il tuo malumore perché lui è alto e si è mosso troppo. Gli si dà ragione perché ha ragione, anche se non ce l’ha del tutto perché poteva starsene tranquillo, ma poi si ribadisce lo stesso parere. In ogni caso non ti crede perché lì di fronte c’è il Bolchoï che ha maggiore credibilità delle tue parole. Ma quand’è che uno diventa credibile? Quando sa tutto e conosce tutto e disquisisce di sfumature tecniche e del sesso degli angeli o quando uno con un discreto bagaglio di esperienza esprime le proprie perplessità.
Per chi nasce lo spettacolo? Per una ristretta minoranza di specialisti che cercano il pelo nell’uovo analizzando tutto lo spettacolo al microscopio cercando il sublime nell’attimo intermedio di una piroetta o di un salto? Siamo d’accordo che la perfezione in uno spettacolo estremamente dinamico, non può durare delle ore e che solo i passaggi più difficili possono darci la misura delle capacità degli interpreti, ma ricordiamoci del pubblico. Il suo scopo è divertirsi, passare il tempo piacevolmente; la scelta che ha fatto non può coinvolgerlo in eccessive fatiche di critica o di confronto. A meno che non lo si annoi. Ecco che in tal caso il giudizio è automatico, la critica dura, decisa, come sentito e generoso sarebbe stato l’applauso, se esso fosse stato meritato. Il critico non ama troppo l’emozione istantanea, tra gli strumenti del suo lavoro c’è il tempo, non tanto, ma quanto basta, per meditare, per soppesare, per valutare con maggiore
obiettività tutto lo spettacolo. Uno scivolone può essere citato, ma lo scivolone può diventare un dettaglio trascurabile in una serata magnifica.
Ma allora chi può criticare? Il critico, giudice distaccato e competente, o il pubblico, emotivo ed istintivo? Il Bolchoï in ogni caso ha maggiore credibilità delle parole di uno spettatore comune. Per poter parlare, criticare, occorre quindi rendersi credibili. È una strada lunga che passa attraverso le vie più strane.
Ugo Tognazzi per esempio è credibile. Gli chiedono pareri sulle partite di calcio, sulla cucina, sulle donne, su un nuovo governo e lui, che ha l’occasione, per altri impossibile, di esprimere pareri e giudizi ad un largo pubblico, parla e viene ascoltato. Ha raggiunto il successo, non importa se in un campo totalmente diverso da quello sul quale è interrogato, e di conseguenza può parlare, una specie di licenza che viene concessa all’unanimità dall’opinione pubblica. Utilizzando la logica, un’opinione di Tognazzi mi interessa: uomo intelligente, artista di notevole livello, pieno di
interessi, ha vissuto una vita intensa, ha maturato esperienze notevoli. Direi che Tognazzi può parlare e dovendo scegliere ascolterei più volentieri lui di un mucchio di altre persone più dotte o più preparate. Il problema a questo punto si modifica: ciascuno è credibile. Sta a lui costruirsi questa credibilità. È ovvio che la sua fascia d’ascolto sarà più o meno ampia a seconda della sua
notorietà, dell’importanza e della serietà – precisione – delle cose che starà dicendo, dell’omogeneità culturale tra lui e il suo pubblico. Il problema sopraggiunge quando numericamente e qualitativamente la fascia d’ascolto è limitata, quando l’argomento trattato meriterebbe più spazio e più attenzione. Ma un pubblico maggiore o migliore come lo si
trova? E dove lo si trova se non si è Tognazzi?

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