20071217

La cravatta rosa

Va prendendo piede un linguaggio concreto. Basta dire merda una volta che la seconda diventa più facile. Si tratta poi di ripetere merda in tutte le situazioni dove non c’è problema di vergogna o di forma per essere in grado, senza vergogna, di ridire merda, al punto giusto, anche quando ci sia problema di forma. È un fatto di classe, c’è chi può permetterselo e chi no, come mangiare le patatine fritte con le mani o con la forchetta. E chi ha classe può dire merda senza essere volgare e finalmente la frase può essere più concisa, più densa di contenuto, più significante come direbbero coloro che non pronuncerebbero mai la parola incriminata. Quando si utilizza un simile linguaggio si può essere superati in concisione solo da pochi linguisti attenti e preparati. In ogni caso non si tratta di apologia di linguaggio da trivio, tutt’altro. Io, per esempio, pur usando talvolta, di frequente direi, vere e proprie parolacce per rafforzare i miei discorsi, rispetto la forma quanto un gentiluomo dell’ottocento e rimpiango spesso di non avere occasioni sufficienti in cui sfoggiare questa mia qualità. Anche in queste situazioni però non riesco a non tentare la via della provocazione, soprattutto quando il discorso si allontana dagli schemi della vuota cortesia per finire su argomenti che mi coinvolgono direttamente, nei momenti in cui entra in ballo la necessità di esporre opinioni decise, quando sono obbligato ad esprimere pareri o giudizi privi di diplomazia, quando è necessario stare da una parte o dall’altra, quando i miei interlocutori si devono accorgere senza ombra di dubbio che le mie posizioni sono nette. Ed è proprio l’aumento di attenzione dovuto ad un linguaggio insolito che rende il discorso più secco, più incisivo.
La comunicazione diventa più efficace ed è così che la forma influenza moltissimo la partecipazione, è così che il contenuto acquista forza presso chi era distratto. Io mi rado, porto una camicia pulita, ci aggiungo una cravatta che spero non stoni col resto dell’abbigliamento, scelgo anche il colore dei calzini, mi lucido le scarpe. Aggiungo al tutto un orologio d’acciaio, una cintura di vitello, una penna decente e sono pronto ad incontrare il mio prossimo dimostrando con tutta questa serie di codici tradizionali non aggressivi la mia disponibilità a trattare. I miei codici usuali vengono riconosciuti da una fascia molto ampia di potenziali interlocutori, l’inizio del dialogo è automatico, le barriere e le prevenzioni di carattere formale sono praticamente inesistenti. Adesso introduciamo delle varianti minime su un abito blu, normalissima divisa da impiegato: indossiamo una camicia celeste, normalissima anche per un tranviere, poi passiamo alla cravatta, necessario complemento, e scegliamola di un bel colore rosa shocking. Se il nostro scopo era quello di creare una situazione d’attesa, di leggero sospetto, di curiosità, in tal caso ce l’abbiamo fatta. Però nello stesso tempo abbiamo limitato, sin dall’inizio, il potenziale di comunicazione.
Sostituiamo ora l’orologio d’acciaio con uno di quelli superpubblicizzati – extra piatti, con un sacco di piccole viti inutili – aggiungiamo uno spruzzo di profumo, blocchiamola cravatta con un piccolo gioiello luccicante e via così con cintura di lucertola, calzini in tinta, scarpe con vezzo. A questo punto il signorino è pronto. Si guarda allo specchio, si passa le dita fra i capelli scalati con cura ed è pronto a parlare. Con se stesso, naturalmente. Gli ornamenti che ha scelto palesano lasua posizione nei confronti del mondo esterno, degli altri, del suo prossimo. Il suo linguaggio sarà più attento, più morbido, la forma tenderà inevitabilmente a prendere il sopravvento sul contenuto oppure il contenuto dovrà avere davvero grossa importanza per riuscire a sopravvivere. Un individuo così, forse disponibile, crea prevenzione, lo si guarda come diverso, ci obbliga a tattiche d’avvicinamento più elaborate, non spontanee, in qualche caso ci rende non disponibili nei suoi confronti. Spesso per pigrizia, perché non ce la sentiamo di affrontare le fatiche inevitabili della fase di approccio, perché non siamo certi che le nostre fatiche vengano poi ricompensate.
Come esempio opposto possiamo citare una serie di particolari/barriera: barba lunga, unghie sporche, abbigliamento trascurato. Anche qui si tratta di un diverso, di uno che non rispetta le regole, da lui ci sentiamo violentati. Il fenomeno di rigetto si amplifica, la nostra disponibilitàdiminuisce ulteriormente. In altre parole diventiamo giudici. E fin qui tutto bene. Nell’area del nostro territorio possiamo permetterci di giudicare. Inevitabilmente però i nostri criteri di giudizio nei confronti del signorino e del barbone non saranno uniformi: saremo senz’altro meno critici nei confronti di quello che mostrerà segni di riconoscimento più vicini a quelli che noi utilizziamo normalmente.
E ora facciamo compiere dei piccoli movimenti ai nostri due manichini, seguiamone la mimica, diamo loro delle posate e vediamo come le impugnano, facciamoli sedere ad un tavolo e vediamo a posizione delle braccia, aspettiamo che bevano e controlliamo come lo fanno, passiamo in poltrona e osserviamo la posizione del busto e delle gambe. Non facciamoli ancora parlare. Siamo già in grado di modificare il nostro giudizio preconcetto sulle nostre due cavie: abbiamo infatti aggiunto elementi di comportamento che meglio ci aiutano a definire l’individuo e il giudizio diventa più oggettivo. Diamo loro la parola, la comunicazione diventa verbale: in pochi minuti tutti i rispettivi limiti culturali saranno allo scoperto, ci sarà un diverso uso delle parole, un vocabolario personale di diversa ampiezza, una più forte o più debole cadenza dialettale, una maggiore o minore abitudine al dialogo, alla conversazione. Tutto questo darà vantaggi momentanei all’uno o all’altro ma non ci darà un grosso aiuto al fine di un giudizio imparziale perché avremo sempre il dubbio che una cravatta rosa sia decisamente meglio di una mano dall unghie sporche. Ed ecco la fase della comunicazione non verbale. Non staremo attenti a tutto – perchè il microscopio non ci fa vedere l’elefante – ma ci occuperemo di una serie di dettagli non trascurabili: la disponibilità dell’uno ad ascoltare l’altro, la sua capacità di intervenire senza brusche interruzioni, il timbro della voce a seconda dell’argomento e dell’occasione, la capacità mimica di segnalare all’altro di comprendere le successive fasi del discorso. I ruoli si alterneranno e ci daranno la possibilità di confronto e finalmente saremo in grado di risolvere il nostro dubbio e di emettere il nostro verdetto. Proprio nello stesso momento i nostri due amici e va a finire sempre così – si alzeranno e se ne andranno via insieme, dopo averci spiegato che l’uno era daltonico e il secondo era finito fuori strada con la macchina. In ogni caso, volontari o involontari che siano, i codici di prima comunicazione possono essere positivi o negativi ai fini dell’approccio. Quanto più importante è avvicinarsi al prossimo tanta maggiore attenzione va destinata all’intero problema. Poi, con estrema libertà, ciascuno di noi può vestirsi interamente di rosa o imbrattarsi le mani di merda.

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