20071217

Chi legge e chi no

C’è un sacco di gente che ci accusa continuamente di leggere poco. Naturalmente si tratta di un’accusa formulata sudati statistici che nella loro globalità poco ci dicono. Bisognerebbe isolare i buoni dai cattivi, scoprire perché questi ultimi non leggono, e poi trovare rimedi corretti per identificarne la tendenza negativa. Per un’analisi corretta non si dovrebbe ricorrere soltanto ai dati che gli editori ci forniscono sulle vendite del nuovo; esistono infatti un sacco di alternative per poter accedere alla carta stampata senza spendere una lira: i giornali vengono riciclati, i libri prestati, le bancarelle hanno i loro clienti affezionati. Sul nuovo ci sono altri canali che non contribuiscono ad incrementare gli indici ufficiali di lettura, negozi che ripropongono a prezzo scontatissimo le rese editoriali, spesso dovute ad eccessi/errori di tiratura in campi di interesse abbastanza specializzati, dall’arte alla scienza dalla tecnica alla poesia.
In questo caso il migliore cliente è l’Uomo dei Saldi, abituato a non farsi coinvolgere dalle correnti, dalle mode, razionale in tutte le sue scelte, parco nelle spese. Una monografia su Picasso, venduta a metà del prezzo di copertina di due o tre anni fa, costa un quarto di quanto costerebbe appena stampata. Il destinatario di un simile libro d’arte non si pone certo il problema di verificare la data di edizione o di screditare l’opera perché vecchia di un paio d’anni. Così va a finire che l’Uomo dei Saldi spenda in libri un quarto di quanto spendono gli altri oppure possiede una biblioteca quattro volte più ampia. E tutto collima perché i libri si accatastano e sottraggono spazio e tempo agli accessori della Casa Comoda che l’uomo Saggio non ama. C’è un’altra categoria di lettori che hanno trovato nel libro una stimolante compagnia, i pendolari del lavoro e dello studio. I treni sono pieni di studenti, di impiegati, di operai che quotidianamente fanno la spola tra casa e città, tutti disposti a leggere, a documentarsi, a istruirsi. Un libro riempie i tempi morti di trasferimento, il viaggio diventa talvolta un’occasione per istruirsi, per migliorare o per tenersi attaccati ad abitudini che a casa perderemmo, sopraffatti dalla tentazione di seguire, con minore fatica, i programmi del nostro tivucolor.
Col tempo si vanno differenziando sempre più due razze, l’uomo che usa il mezzo pubblico e l’uomo che guida ad ogni costo. Il treno, per esempio, permette diverse soluzioni. L’individuo contemplativo viaggia senza alcun problema: può leggere, può isolarsi, può socializzare, può continuamente decidere quale di queste situazioni scegliere a seconda del proprio stato d’animo. Può in pratica mettere in atto meccanismi di autoterapia che lo fanno tornare a casa tranquillo, avendo annullato i residui di tensione nel viaggio di ritorno, su un mezzo che ormai gli è famigliare, dove la facce sono sempre le stesse e dove può scegliere la compagnia che desidera. Il fatto di essere obbligati a far divenire tutto ciò un’abitudine non è sentito come un’imposizione, ma come un’occasione per meglio approfondire, lontani dalle tentazioni della Casa Comoda, i propri interessi. Si possono così intraprendere programmi di mesi, di anni, senza avere paura che il tempo manchi, perché il tempo c’è, quello di un’andata e di un ritorno, almeno cinque giorni alla settimana.
L’Uomo che Guida la Macchina, rispetto a suo fratello
che va in treno, accumula così grossi ritardi di informazione e di cultura a meno di faticosi recuperi. E l’uomo che va in macchina ha un contatto più rarefatto con la realtà, conosce meno gente, le sue opinioni trovano raramente possibilità di confronto.
Nella stessa situazione si trovano quasi tutti gli uomini politici, in viaggio non incontrano mai la gente, si incontrano sempre fra di loro, usano un linguaggio complesso maturato durante lunghe sedute che sembrano avere come unico scopo il tentativo di comprendersi, raramente dicono quello che pensano: non è che questo li porti a mentire, semplicemente aggirano i problemi. Difficile che salgano su un autobus, dove la gente non si cimenta in dialettica ma riesce spesso a farsi capire, dove gli odori e le spinte fanno anch’esse parte di un tacito linguaggio, questa volta aderente alla realtà. La realtà sfugge loro, l’abbiamo già detto in un’altra parte di questo libro ma loro spesso non cercano nemmeno di raggiungerla. Li troviamo troppo spesso intenti a verificare la loro posizione con le indicazioni che da monte arrivano loro quotidianamente; mancano di creatività perché le regole li hanno sopraffatti; sono diventati insensibili perché devono necessariamente affrontare qualsiasi situazione in maniera teorica. I tempi sono sempre lunghi e qualsiasi situazione può essere analizzata come se si trattasse di una partita a scacchi, con un atteggiamento di studio di tutte le possibili varianti. È un atteggiamento saggio questo, dettato da una buona dose di prudenza, una virtù che non dovrebbe mai mancare quando si è costretti a decidere per gli altri. È però un peccato che questi altri, con i loro desideri e le loro tendenze, siano identificati e conosciuti solo attraverso ricerche statistiche, che i loro stimoli e i loro comportamenti siano riassunti da una percentuale in una tabella. Sarebbe molto più interessante, nel momento delle decisione, ricordarsi i volti degli altri, le loro voci, i loro pareri, i loro odori; potrebbe esserci anche la sorpresa, salendo su un treno di pendolari, quella di scoprire che c’è ancora una fascia ben precisa di persone che, malgrado le grida quotidiane di allarme lanciate dagli editori, continua a leggere, ad informarsi, a documentarsi.

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